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mercoledì 23 marzo 2016 - 12:22:18

Nidi. Nel Merito



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Come spesso capita, di fronte alle questioni serie, c’è chi agita polveroni. E’ al contempo strategia e difesa: si cerca così da un lato di non permettere alle persone di capire di cosa si sta parlando, dall’altro di mascherare la propria mancanza di soluzioni sulla questione.
Mi pare consono, nella maniera che mi riesce più lineare e risparmiandovi i fronzoli, descrivere come l’amministrazione si sta muovendo sui nidi e perché lo si debba fare.

Partiamo dalle ragioni.

Negli anni gli enti locali hanno subito grosse limitazioni alle possibilità assunzionali. Questo fenomeno ha fatto sì che gli organici si riducessero notevolmente, con lavoratori sempre più anziani. E’ successo anche ai nostri nidi. 

Siamo franchi fin da subito: nessuno mette in dubbio che negli scorsi anni il servizio fosse caratterizzato da una qualità elevata, tanto che alcuni dicono di esprimersi “emotivamente” a riguardo, ma attualmente la gestione fa fatica e nei prossimi mesi ne risulterebbe inficiata. Parliamo di ciò che i nidi cesanesi sono oggi. Non dell'Eldorado che fu.

Quest’anno, grazie all’impiego di una cooperativa nella fascia tardo-pomeridiana, abbiamo accolto 87 bimbi (in fase di iscrizione avevamo 130 domande).

Nonostante ognuna delle nostre due strutture potenzialmente ammetta 60 bambini, il collo di bottiglia è rappresentato dai vincoli regionali che obbligano le strutture accreditate a garantire, tra gli altri, il rapporto di 1 educatrice ogni 7 bambini nella cosiddetta fascia educativa.

Esiste quindi un legame stretto tra il personale (attraverso il suo impiego orario nel servizio) e il numero dei bambini che possono esssere iscritti al nido.


Con i nostri numeri, per via dell’attuale situazione del personale a disposizione, a settembre potremo accogliere solo 60 bambini. Questo significa che non intervenendo saremmo costretti a chiudere un nido.

Qualcuno solleva una prima obiezione nel merito. Dato che io stesso ho messo in luce attraverso l’analisi della popolazione che Cesano sta invecchiando e che il numero di individui da 0 a 3 anni si è ridotto di 20 unità all’anno, mi viene chiesto che senso ha fare una battaglia sul mantenimento di due nidi.

Avanzo due chiavi di lettura.

La prima vuole essere numerica. A Cesano nel 2015 avevamo 768 bambini di età compresa tra gli 0 e 3 anni. Una cifra comunque importante. Con 60 posti, avremmo un’offerta complessiva di 7.8 posti ogni 100 potenziali utenti. Potendo dopo anni tornare a sfruttare la piena capienza delle nostre due strutture ci attesteremmo a un dignitoso 15.6%, appena sopra il valore del 15.3% che rappresenta la media regionale.
Vi rendete conto? Con un nido solo sprofonderemmo a livelli decisamente non civili… anche solo per questo ritengo che valga la pena rivedere il servizio per essere assimilabili alla Città Metropolitana di Milano. Tenete anche presente che rispetto agli obiettivi fissati a Lisbona nel 2000 siamo decisamente indietro: per la UE gli stati dovrebbero raggiungere quota 33 posti ogni 100 bambini. Un sogno. 
Tornando a noi, vi basti sapere che al 23 marzo 2016 gli uffici hanno ricevuto 103 richieste di iscrizione, di cui 41 legate a bimbi che già frequentano i nidi e ben 62 nuove. 

La seconda interpretazione è più politica e di lungo corso. Parliamo sì di invecchiamento della popolazione. Siamo sicuri che sia conveniente assecondare i numeri? Voglio dire, il fatto che ci siano meno ragazzi di qualche anno fa ci deve portare a contrarre il numero di scuole, asili, impianti sportivi, spazi destinati a loro oppure vale la pena di resistere e di mantenere questo comune a prova di giovane? Certo, ci costa. Però io credo fermamente che uno degli scopi principali della politica italiana dei prossimi anni sia favorire il rilancio demografico. E lo si può fare, oltre puntando a politiche specifiche sulla genitorialità, garantendo le strutture a partire da quelle rivolte all’educazione e dell’istruzione. Se ci limitassimo nelle scelte a seguire i trend demografici non faremmo altro che continuare a sbilanciare la nostra piramide sociale verso le generazioni più anziane. E non lo vogliamo: anche dal punto di vista anagrafico, per perseguire una buona convivenza, è necessario che vi sia un buon mix tra le varie fasce d’età.

L’amara realtà è che l’amministrazione comunale non è in grado con le sue forze di avere sufficiente personale per garantire la piena copertura degli asili nido. E non solo. Lasciando proseguire i trend in atto, tra qualche anno saremmo costretti a chiudere anche il secondo nido (a meno di una sua esternalizzazione). Le ragioni sono da ricercare nell’impossibilità di provvedere alla sostituzione del personale che va in pensione. L’attuale legge di stabilità, infatti, restringe ulteriormente le finestre assunzionali degli enti locali. Recita infatti:

Le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e successive modificazioni, possono procedere, per gli anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente.

Con buona approssimazione, si può assumere una persona ogni quattro che vanno in pensione. Con le proiezioni del nostro comune in mano, stiamo parlando di un’assunzione nel 2016, nessuna nel 2017, una nel 2018. E questo vale per tutto il comune, non solo per i nidi. In altri termini, se queste disposizioni dovessero essere confermate per gli anni a venire, non saremmo in grado di contrastare la progressiva erosione del personale delle strutture. Fino all’insostenibilità anche di un solo nido.

La conseguenza è che i comuni, specialmente quelli lombardi, sempre più si devono affidare a una gestione che coinvolge il privato.
Stando ai dati dell’ISTAT, nel 2012 il 50.6% - la metà - dei bambini frequentanti un nido si trovava in una struttura comunale a gestione diretta. Nel 2015 i nidi pubblici ammontavano a 597 contro i 1540 privati con un’offerta di posti del pubblico solo del 41.2% (25.145 contro 35.825 posti del privato).

Quindi, se alziamo un po’ lo sguardo rispetto a Cesano Boscone, ci rendiamo conto dei processi in atto. Immagino che questi numeri - e questa drastica riduzione dei posti nei nidi pubblici (ben il 9% dei posti in meno in soli 3 anni)- siano conseguenza del quadro generale più che di una moda (o del caso specifico del nostro comune).

Quindi la questione è la seguente: in questo momento la nostra amministrazione non ha potuto scegliere, guardando al medio periodo, tra una gestione diretta e una con ricorso al privato. Necessariamente deve ricorrere al privato. Scegliendone poi le modalità di coinvolgimento nella gestione.

Ci tengo anche a sgombrare il campo da un altro aspetto: alla base di questa scelta non ci sono ragioni di risparmio. In questi due anni abbiamo dato fondo a tutte le nostre energie per condurre una soddisfacente revisione della spesa. Riteniamo che qualche risultato sia stato raggiunto se nel bilancio di previsione che discuteremo tra qualche settimana sono previsti 2 milioni di investimenti, la chiusura del fardello economico legato all’affaire piscina e pure la riduzione dell’IMU e di alcune tariffe locali. Questo però ci permette di dire che noi non vogliamo risparmiare per il solo gusto di farlo ma per riconvertire la spesa, ossia sostenere nuovi servizi, migliorarne altri e ridurre il carico fiscale a carico dei cittadini.

Non ci appartiene culturalmente il cercare risorse riducendo la qualità dei servizi che eroghiamo. Semmai sappiamo che abbiamo in capo di ripensare al nostro welfare con le più anguste possibilità di oggi. E non ci possiamo sottrarre a questa sfida perché in ballo ci sono le persone. Con più bisogni di prima. E noi con meno risorse.

Abbiamo vagliato diverse ipotesi. Centrale nelle nostre valutazioni è stata la sorte del personale. E’ stata una preoccupazione costante: noi non vogliamo mettere a rischio il posto dei lavoratori. Questo è certo. Vogliamo che siano tutelati.

Però dobbiamo intenderci: siamo degli amministratori pubblici, non siamo un sindacato. E lo scrivo con la massima considerazione della funzione delle rappresentanze dei lavoratori.

La differenza però è che mentre il sindacato per sua natura pensa alle educatrici, chi amministra deve pensare al servizio, alla sua universalità, al fatto che risponda a un’ampia fetta di cittadini, alla sua qualità. E non ultimo al fatto che sia sostenibile, sia nei costi che nella gestione.

L’unica opzione per mantenere la conduzione completamente pubblica è chiudere un nido e di concentrare in questo tutto il personale educativo residuo. Con buona pace delle famiglie escluse. Bocciata, per le ragioni espresse sopra.

Una modalità graduale poteva essere rappresentata dal mantenere un nido pubblico, in cui anche in questo caso far lavorare il personale comunale, e uno esterno. Questa ipotesi, che pure dava un’idea di gradualismo, si è scontrata con una serie di considerazioni. C’è da intendersi: non evita l’esternalizzazione. Un nido verrebbe gestito da privati fin da subito, l’altro dopo pochi anni perché si scontrerebbe con gli stessi vincoli assunzionali. Nel frattempo però avremmo inserito nelle due strutture due forme di gestione diverse. Tenete presente che i due nidi sono dislocati in contesti territorialmente molto diversi di Cesano: via Garibaldi e via Gramsci in quartier Tessera. Sono realtà che si rivolgono, tendenzialmente e proprio per loro ubicazione, a fasce diverse della società cesanese. Il mio personale timore è che questa ulteriore variabile possa in qualche modo pesare e creare, attraverso una probabile diversità del servizio, ulteriore sperequazione. Compito di un’amministrazione progressista, invece, è senz’altro cercare di limitare e frenare il più possibile, anche attraverso l’accesso per tutti a servizi di livello, le disuguaglianze sociali. La gestione dei due nidi sarebbe slegata, senza la possibilità di poter condurre un progetto educativo unico e coerente. Tale scenario ibrido, peraltro, comporterebbe un aumento dei costi tra i 200 e i 300mila euro legati al dimezzamento delle rette e alla volontà di riconoscere per entrambe le strutture la progressività di fruizione legata alla copertura ISEE. Se è vero come ho scritto sopra che la nostra operazione sui nidi non viene condotta per risparmiare, è anche vero che non sarebbe agevole reperire a bilancio le ulteriori risorse per poter mantenere un modello di tal fatta, peraltro che lascerebbe ampie perplessità rispetto alla precarietà del nido rimasto a conduzione diretta.

Riteniamo che la formula della concessione rappresenti il miglior compromesso possibile alla luce delle condizioni date. Nonostante si basi sul coinvolgimento del privato il servizio rimarrebbe a forte controllo pubblico, con un forte coordinamento fra le due strutture. Il concessionario dovrebbe garantire la massima capienza dei nidi. 

Ovviamente nel definire le caratteristiche del servizio, il bando di gara sarà determinante. E’ intenzione dell’amministrazione ricercare la massima qualità, mantenendo l’accreditamento regionale - e quindi gli standard che ne derivano - e la certificazione ISO 9001:2008. Non solo. Pensiamo che con questa modalità si possano ricercare elementi innovativi che oggi a Cesano non ci sono: ad esempio valutare nuove proposte pedagogiche, un primo approccio alla lingua inglese e, mi piacerebbe, possibilità di accoglienza per i bambini disabili: non dimentichiamoci che siamo Cesano Boscone e sul tema dobbiamo nutrire un’attenzione in più rispetto agli altri. 

Anche in termini di orari, probabilmente, questo tipo di conduzione potrebbe dare risposte al territorio. Sono convinto che nei nidi il progetto educativo rimanga centrale e mi preme che il bebé trascorra anche molto tempo con i genitori. Però non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia dimenticando che ci sono persone che lavorano negli orari più disparati. Nelle nostre zone, penso ad esempio a chi è occupato presso i centri commerciali della Vigevanese. Spesso moglie e marito, sovente madri single. E allora mi domando: a queste persone il welfare non deve offrire nulla? Devono essere tagliate fuori? Può non piacerci avere i supermercati aperti notte e giorno, sabato e domenica, ma per una nostra convinzione dobbiamo privare tutti questi poveri cristi di un servizio? Oppure devono essere dei paria del nostro patto sociale? Dobbiamo essere sinceri: con una gestione diretta tutti questi ragionamenti non sarebbero possibili. Significa che ritengo necessario esternalizzare i nidi? No. Significa - e ne sono convinto da sempre - che si debba riformare profondamente la macchina pubblica perché così è totalmente ingessata e autoreferenziale. Se un ente locale deve offrire un servizio dato che emerge un bisogno da una lettura del suo contesto sociale, deve poterlo pensare sulla base di quell’esigenza, non degli stretti margini di manovra concessi. Il discorso è lungo… magari in qualche altra occasione lo articolo meglio. Ad ogni modo, credere nel ruolo dello Stato e del Pubblico significa pensare a come riformarlo. Così non serve ed è destinato alla marginalizzazione, cosa che sta avvenendo.

E’ stato centrale, nei ragionamenti fatti, il tema del personale educativo. Questo passerebbe dal pubblico al privato, secondo l’art. 31 della legge 165/2001. E’ evidente che tale processo sia inviso alle educatrici. Me ne rendo conto e le capisco. Però il loro posto di lavoro è tutelato fino alla pensione perché restano legate al servizio, indipendentemente da chi lo gestirà. I posti di lavoro verranno congelati nella pianta organica comunale (cosa che non avviene ad esempio nel caso della cessione di ramo d’azienda in cui vengono cancellati). Le condizioni economiche in partenza sono diverse, ma c’è un tavolo di trattativa sindacale in cui possono essere affrontati questi temi ed armonizzato il passaggio. Il come non dipende solo dal comune (e questo i sindacati dovrebbero saperlo bene....).

Questa opzione è elastica nel senso che lascia aperta la possibilità anche di un ritorno del servizio a gestione diretta comunale. Non è detto che in futuro, di fronte a diverse condizioni, si possa pensare a reinternalizzare il servizio. Più probabile è l’adesione tra qualche anno al “sistema integrato 0-6” proposto dalla legge delega 107/2015 del luglio scorso. Il governo pensa cioè alla continuità tra nidi e scuole dell’infanzia, anche se si sono levati pareri critici rispetto a tale legge perché sembra sbilanciata sulle scuole materne e risulterebbe lacunosa sui nidi. Ad ogni modo al momento mancano i decreti attuativi e, soprattutto, manca la copertura finanziaria. Si stima che serviranno almeno due anni per veder salpare la riforma. Quindi attualmente non rappresenta un’opzione. Potrebbe diventarlo. Vedremo.

A noi interessa garantire la continuità del servizio e rendere il passaggio meno traumatico possibile. Uno degli aspetti che imporremo è anche la stabilità del personale. Per noi è un valore che i bimbi rimangano tra le braccia delle stesse educatrici, che abbiano la possibilità di conoscerle e di essere seguiti nei tre anni del nido. Quindi oltre a far sì che il nostro personale continui a lavorare nelle nostre strutture, chiederemo al gestore di fare altrettanto con le nuove. 

Dal punto di vista delle famiglie, è per noi un caposaldo l’articolo 53 della Costituzione che richiama la progressività nella partecipazione dei cittadini alla spesa pubblica:

“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in regione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Pertanto, a differenza di quanto fatto da altri comuni - ogni tanto guardarsi in giro serve - noi manterremo l’applicazione dell’ISEE per graduare i pagamenti in funzione della capacità economica delle famiglie, impiegando le stesse fasce del passato. Ci siamo solo permessi di rivedere le tariffe. In particolare, abbiamo ridotto le tariffe massime: per il tempo parziale si passa da 450 a 400 euro/mese; per il tempo pieno da 675 a 600 euro/mese; per il prolungato da 787 a 700 euro/mese. A me non pare poco.

Nella costruzione della proposta, fondamentale è stato il contributo delle due forze di maggiornaza presenti in consiglio che si sono anche espresse con un documento di indirizzo politico.

Stasera il consiglio comunale sarà chiamato ad esprimersi sulla modalità individuata per la gestione proposta dalla giunta. Il giorno 31 in Villa Marazzi si terrà invece un’assemblea pubblica per confrontarci sugli aspetti da approfondire del servizio che sono a cuore a mamme e papà.




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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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