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sabato 03 novembre 2018 - 19:49:40

Discorso del 4 novembre 2018



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Un caro saluto a Voi Cittadini e alle Autorità Militari e Civili presenti. 

Un abbraccio ai Combattenti e Reduci di Cesano Boscone che collaborano con l’amministrazione, oltre che in questa ricorrenza, a tener viva la Memoria di quei fatti così lontani ma così determinanti per capire la nostra Storia.

Mai come oggi questa data è significativa perché siamo a 100 anni esatti dalla firma dell’armistizio di Villa Giusti a Padova, che sancì per l’Italia la fine della Prima Guerra Mondiale. Festeggiamo l’Unità Nazionale, raggiunta con l’annessione di Trento e Triste, e negli anni è diventato anche il momento per festeggiare le nostre Forze Armate.

Proprio a queste indirizziamo la nostra riconoscenza per il ruolo decisivo che svolgono quotidianamente a tutela della Pace e della nostra sicurezza, a partire dai fronti più lontani, che voglio ricordare, dove il nostro esercito è impegnato in missioni spesso dal forte significato umanitario, come sta avvenendo in Afghanistan e Kosovo sotto l’egida della Nato; in Libano con l’Onu; in Somalia e in Mali per conto dell’Unione Europea. Tutte queste azioni, in un mondo sempre più turbolento e segnato da conflitti, ci stimolano ad assumere incarichi di responsabilità a livello internazionale ed accrescono l’immagine positiva dell’Italia nel mondo.

Ci tengo, alla luce della mia esperienza da sindaco, a ringraziare per la loro quotidiana opera i Carabinieri, sempre presenti sul territorio e coinvolti rispetto a qualsiasi criticità, dalla prevenzione delle odiose truffe agli anziani al contrasto alla criminalità organizzata, alle mafie e, addirittura, alle allerte relative al terrorismo internazionale. 

Permettetemi, inoltre, di ringraziare tutti i corpi che in questi giorni stanno portando aiuto e conforto alle zone alpine e marittime, su tutti l’Agordino e la Liguria, colpite dalle alluvioni e dai nubifragi, chiamati costantemente a supplire le mancanze di uno stato centrale che storicamente ha sempre fatto troppo poco sulla sicurezza dei territori, tanto da rifiutare recentemente finanziamenti europei destinati proprio a questo scopo.

Personalmente, ho sempre un atteggiamento al contempo di grande rispetto e di grande titubanza nell’approcciare i temi che ci sottopone il 4 novembre. 

Gli esiti della Prima Guerra Mondiale furono atroci per il nostro Paese. Ai 600.000 morti si sono aggiunti i circa 470.000 invalidi e mutilati di guerra e non sappiamo quanti siano stati i morti per fame e stenti tra la popolazione civile. Recentemente mi sono imbattuto in una ricostruzione storica che ha messo a fuoco le terribili conseguenze del conflitto in termini di malattie mentali. Diverse migliaia di giovani, semianalfabeti sono stati strappati alla vita nei campi per sacrificarsi per una patria lontana, freddamente riconosciuta da chi parlava solo il proprio dialetto. Hanno vissuto l’alienante esperienza del fronte e della trincea, dove tutto mancava e si viveva di stenti, al freddo, senza aver capito per cosa esattamente si combattesse e contro chi e con la consapevolezza che si sarebbe potuti morire da un momento all’altro, o per mano della mitragliatrice nemica - se lanciati come carne da macello in assalti spesso senza speranza di riuscita alcuna - oppure per mano dei propri superiori, per logiche sadiche e vigliacche come quelle della decimazione. La vita di un soldato non valeva nulla. E come si poteva non diventare pazzi dopo aver vissuto un’esperienza del genere? Con quale animo e quali profonde ferite si poteva tornare alle occupazioni di una vita dopo aver preso parte a uno spettacolo così crudele?

La logica dell’inutile strage, però, per quanto condivisibile, è una logica del poi. Credo che di fronte alla storia, ai suoi eventi più complessi e diversamente interpretabili, si debba avere l’umiltà di capire in quale contesto sono maturati e così bisogna porsi di fronte alla tragedia del primo conflitto mondiale, anche per rispetto delle tante famiglie italiane che loro malgrado sono state coinvolte e che serbano il ricordo di quei giorni così segnanti. E’ troppo facile giudicare le fasi storiche quando non ci sei dentro.

L’Italia entrava in guerra sotto la spinta di diverse forze e non secondaria, non solo per quanto riguarda la propaganda, era le convinzione di chi credeva che andasse portato a termine il percorso di unità nazionale per dare pieno compimento al Risorgimento. Non era ancora spento l’impeto di chi voleva riunire sotto il Tricolore tutti i territori almeno idealmente italiani e forte era il risentimento per l’occupante austriaco, presente ancora in Trentino e nella Venezia Giulia. La piccola Italia, reduce da un’inedita quanto disastrosa campagna coloniale, si trovava così immersa nel primo sanguinoso conflitto che possiamo dire “mondiale”.

Cosa ci insegna oggi il 4 novembre?

E’ di questi giorni la polemica che vuole il 4 novembre in contrapposizione con il 25 aprile. Polemica non originale, a dire il vero, che mette di fronte inutilmente due epoche diverse del Paese, creando un antagonismo artificioso e inattuale. La Storia va studiata, rispettata e accettata per ciò che ha espresso. Sarebbe ora che tutta la politica italiana facesse pace con la storia di questo Paese e che sfruttasse i suoi insegnamenti per interpretare la fase che abbiamo davanti. Nella nostra piccola esperienza locale, questa amministrazione ha dato ampio risalto a tutte le ricorrenze istituzionali, non contrapponendole tra loro ma creando per queste dedicate occasioni di approfondimento: il nostro obiettivo ultimo è quello di accrescere, pur nelle legittime diversità, una comune coscienza civile nella cittadinanza. E’ con questo spirito che ogni anno, grazie all’irrinunciabile supporto della Protezione Civile, portiamo alcune classi terze delle scuole medie in visita sull’altopiano del Grappa; al sacrario, dove riposano oltre 22.000 soldati morti; nelle trincee, per capire in quali condizioni estreme erano costretti i soldati; a conoscere le testimonianze delle persone della zona, così profondamente segnati da quella tragedia. 

Oggi come allora il mondo è in disequilibrio e nuovi minacciosi protagonisti si affacciano in uno scenario inedito, incentrato sulla definizione di nuovi rapporti di forza. La loro volontà di potenza può essere accostabile a quel sentimento che crebbe in diversi paesi a fine dell’ottocento e per questi motivi i nazionalismi di oggi rappresentano una forte minaccia alla pace mondiale.Arrivo però a sostenere che i nazionalismi di allora poggiavano su basi più solide rispetto ai presunti sovranismi moderni. L’Europa era il centro del mondo e buona parte delle principali potenze mondiali erano europee, basti pensare a Germania, Francia, Inghilterra ed Austria. Attualmente invece nello scacchiere mondiale questi paesi sono condannati all’irrilevanza, sovrastati dal peso dei giganti. Anzi, l’Europa semmai è terra di conquista per nuovi emergenti blocchi che vogliono espandere proprio sul vecchio continente la loro influenza. Dietro la paventata dissoluzione della UE, dietro i sovranismi, c’è l’interesse recondito di imperi lontani. I nazionalismi di allora, inoltre, nascevano da forti contrapposizioni legate a dissidi recenti - si pensi ad Alsazia e Lorena per Francia e Germania - e soprattutto erano riconducibili a diversità profonde tra i popoli europei, legate a immutate identità secolari, ribadite nelle lingue, negli usi e costumi, nella cultura, nel lignaggio. Se siamo onesti, i sovranismi di cui tanto si parla nel dibattito di questi giorni, sono figli ribelli della globalizzazione, rappresentano una ricerca confusa di identità nella massa informe della modernità che proprio sull’abbattimento ideologico di steccati, distanze e diversità, si è basata. Ne è la prova l’esistenza in tutta Europa di movimenti che con grande agio sono passati in pochi anni dalla lotta per l’autonomia di specifiche regioni del paese, in fuga dagli stati nazionali di riferimento, all’affermazione dell’identità nazionale - che prima negavano -, nel respingimento dei migranti e nella presa di distanza dal processo di integrazione europeo. Pare che serva lo scudo di un’identità qualsiasi per opporsi al sistema capitalistico che si pensava avesse determinato il definitivo ordine mondiale.

Anche per questo il sovranismo è un inganno. A maggior ragione se visto da paesi come l’Italia, troppo piccoli per contare qualcosa. Dobbiamo semmai ragionare su come rilanciare la prospettiva di un’Europa unita, partendo dalla constatazione che una maggiore integrazione europea è il presupposto necessario - ed ineludibile - per fermare il nostro declino. Parimenti dobbiamo dire con forza che i vincoli tra stati su cui si basa la UE vanno ridiscussi: se l’Europa ha da essere, deve avere a fondamenta la pienezza dei diritti e la protezione sociale, con un’impronta solidaristica tra stati e verso le persone in chiara discontinuità con quanto vissuto negli ultimi anni. 

Devo soffermarmi infine sul centennale della fine delle ostilità. Ne è scaturità una pace poco duratura, per gli errori commessi a Versailles. A me pare che dobbiamo mantenere un vivido ricordo delle due guerre mondiali, delle tragedie che hanno comportato e unitamente dobbiamo alimentare la cultura della Pace. Ad inizio ‘900 nessuno poteva sapere che estensione avrebbe avuto quel conflitto, quanti paesi avrebbe coinvolto, quanta devastazione avrebbe generato. E dopo la prima guerra mondiale, nessuno avrebbe potuto immaginare la Shoah, i bombardamenti delle città, la guerra totale. 

Noi invece abbiamo chiaro cosa avvenne ad Hiroshima e a Nagasaki. Abbiamo ben chiaro il monito di un’ecatombe nucleare, l’incubo che un nuovo conflitto “mondiale” tra le superpotenze possa rendere questo pianeta invivibile. Spero che tutti abbiano capito che non ci sarebbero vincitori di sorta.Mi pare che coloro che alimentano la retorica della guerra, futuristi fuori tempo massimo, non abbiano la consapevolezza di uomini come La Pira, che sosteneva: “La terza guerra mondiale è ormai fisicamente impossibile: perché se gli uomini la faranno, essi faranno una sola cosa: distruggeranno il mondo; spezzeranno la terra; sradicheranno da essa il genere umano!”.

E allora lasciatemi concludere che la pace è un bene da mettere davanti a tutto: nessuna crisi economica, nessuna povertà, nessuna umiliazione e nessun senso di rivalsa può valere l’idiozia, il dolore, la devastazione di una guerra. Riflettiamoci sempre.

Grazie!
Buon 4 novembre!
W l’Italia!




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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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