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giovedì 03 giugno 2021 - 09:12:16

Discorso 2 giugno 2021



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Buongiorno e grazie per la Vostra partecipazione oggi a questa giornata così importante per tutti noi. 

Il 2 e 3 giugno del 1946 gli italiani decisero per la Repubblica. Votarono in 24 milioni e la scelta repubblicana prevalse per 2 milioni di voti circa. Una vittoria netta, ma non larghissima. Eppure con il senno di poi, intimamente, sappiamo quanto quella decisione fu giusta e quanto insieme a una serie di altre circostanze fu alla base della Pace, dello sviluppo del Paese, del benessere finalmente diffuso nel lungo periodo successivo. 

Dopo 75 anni, l’Italia è di fronte a un’altra epocale transizione. Non di natura istituzionale, ma deve riprendere il cammino a seguito della terribile pandemia del Covid-19. Un morbo che ha sconvolto le nostre vite - e il primo pensiero va ovviamente a chi è mancato e a chi ha sofferto nei mesi scorsi - le cui conseguenze hanno ampiamente esulato dall’ambito sanitario per interessare la socialità, le relazioni, il lavoro ed il reddito, le nostre libertà individuali e per le generazioni più giovani, per quanto possa sembrare spropositata, addirittura il percorso di crescita.

Il Coronavirus non è ancora sconfitto, ma l’Italia ha dimostrato di aver vinto l’enorme sfida della vaccinazione di massa. Se ci pensate, fino a qualche settimana fa sembrava utopico giungere all’immunità di gregge entro l’estate. Invece, con oltre 500.000 dosi somministrate al giorno, ci stiamo arrivando!

Riflettiamo sui tempi: a solo un anno e mezzo dalle notizie trapelate da Wuhan rispetto a un nuovo virus arrivato all’uomo dai pipistrelli, l’Italia potrebbe essere stata messa in salvo. E’ vero che in mezzo c’è tutto: l’impreparazione iniziale, una caterva di errori e disguidi (anche sulle forniture dei vaccini), immani sacrifici, le cicatrici che ci accompagneranno. Ma ce la stiamo facendo!

Tutto ciò ha valore! Dobbiamo esserne orgogliosi perché ci muoviamo da grande Paese. Per questo, anche da qui oggi, credo sia doveroso tributare il nostro ringraziamento ed il profondo senso di riconoscenza a tutti coloro che hanno lavorato alacremente e senza tregua affinché questa enorme macchina si mettesse in moto.

La cronaca ci offre troppo spesso occasioni per riflettere sulle difficoltà, sugli scandali, sull’inadeguatezza di questo Paese. In queste ore, siamo turbati dalla vergogna delle 14 morti della funivia Stresa-Mottarone e della vita sconvolta al piccolo Ethan: dovevano essere evitate! Una tragedia inaccettabile! E’ l’ennesima vergogna legata alle criminali superficialità e noncuranza, alla logica del profitto a discapito della sicurezza e della vita.

Non tutto è così. E più passa il tempo, più mi rendo conto che si deve parlare e si deve valorizzare ciò che funziona, non nascondendo i problemi e le responsabilità, ma foss’anche una cosa sola, dare spazio a modelli positivi e a ciò in cui abbiamo, insieme, avuto successo. Le vaccinazioni di queste settimane ne sono un esempio.

Avere modelli, riconoscere che siamo stati capaci di cogliere occasioni di vero progresso a vantaggio della collettività non è un vuoto esercizio retorico o un vago sentimento di speranza, ma ci serve. Ci serve per affrontare le difficoltà che il futuro comporta. Ci serve per vincere le sfide che abbiamo davanti. Ci serve per non abbandonarci alla sfiducia generalizzata e al qualunquismo che condanna all’inazione, a stare fermi, al piangersi sempre addosso senza reagire. Se siamo sinceri con noi stessi, sappiamo che le ferite con cui l’Italia esce da questa lunga pandemia non sono tutte causate dal Covid. Non può essere un caso, infatti, che tra il 1999 e il 2019, il Pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento mentre nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento. Obbietterete che il PIL non sia un parametro esaustivo e sufficiente a descrivere come si vive in uno stato. Avete ragione: non lo è! Però di fronte a una distanza così siderale rispetto agli altri principali paesi europei qualche riflessione è dovuta. Ha senso parlarne il 2 giugno, in occasione della Festa della Repubblica? Sì, credo abbia senso perché sono convinto che i sistemi democratici si reggano su fragili equilibri, dove la libertà dei cittadini deve incontrare la crescita economica e la giustizia sociale. Lo sviluppo di per sè non garantisce diritti e vite dignitose, anzi tende spontaneamente ad evolvere verso società diseguali ed illiberali. Tuttavia non esistono democrazie forti senza la capacità, da un lato, di favorire lo spazio per economie fiorenti e dall’altro, di regolarle puntualmente e di arginarne, in termini sociali, gli effetti distorsivi, al fine di una distribuzione della ricchezza e della creazione, per tutti, di opportunità.Noi purtroppo non cresciamo e stiamo conoscendo disuguaglianze sociali che probabilmente in Italia non si presentavano da prima della seconda guerra mondiale. Già a fine 2019 il 10% più abbiente degli italiani in termini patrimoniali possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. L’arrivo del Covid-19 ha allargato la forbice: i nostri 36 connazionali più ricchi secondo Forbes hanno visto crescere dall’inizio della pandemia la propria ricchezza di 45,7 miliardi di euro, pari a 7.500 euro a persona per ognuno dei 6 milioni più poveri o se preferite a quanto lo Stato spende in un anno e mezzo per gli stipendi del personale dipendente del sistema sanitario nazionale.

L’effetto dirompente delle disuguaglianze non si manifesta solo a livello economico ma tocca tutti i principali ambiti che descrivono il benessere della società, con la pandemia che ha sommato nuove fragilità alle preesistenti, impattando significativamente, oltre alla possibilità per tanti di condurre una vita dignitosa e non precaria, sulla tenuta della coesione sociale. Impossibile non fare riferimento ai tanti divari che anche noi viviamo quotidianamente: di alcuni si parla con più coraggio, penso ad esempio alle vergognose disparità di genere  e al carico insostenibile che grava sulle giovani generazioni. Riflettiamo, anche a livello territoriale, quanto difforme sia la possibilità di accesso alle cure mediche e al sistema sanitario. Non è un tema lontano, non riguarda solo il confronto tra regioni. Ci siamo dentro: pensate che per un cittadino di Cesano Boscone è molto più probabile - come per tutti i paesi della ex provincia - restare senza medico di famiglia rispetto agli abitanti del comune di Milano. Addirittura l’Istat ha rilevato discrepanze sull’aspettativa di vita: in Italia chi è più istruito può vantare alla nascita la possibilità di vivere 3,5 anni in più per gli uomini e di 1,5 anni per le donne rispetto a chi è meno istruito.

A preoccuparmi oltremodo è proprio l’istruzione: al netto della pandemia, che ha solo peggiorato le cose, secondo la Fondazione Reggio Children-Centro internazionale Malaguzzi negli ultimi dieci anni il numero di bambini  in stato di povertà educativa relativa è raddoppiato, mentre è triplicato quello dei minori in povertà educativa assoluta. Come può un Paese che già non fa figli, che fa parte dei paesi del G8, non preoccuparsi che addirittura un terzo dei suoi futuri cittadini precipiti rapidamente nell’esclusione? Condivido molto inoltre l’affermazione per cui “la scuola è un grande presidio della Repubblica e lo è soprattutto nei territori di crisi”.

Dobbiamo prendere coscienza di questi problemi ed impegnarci a raddrizzare la rotta. Dinanzi a noi abbiamo un’occasione storica: la realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Con i suoi oltre 222,1 miliardi è lo strumento che può consentirci di fare un balzo in avanti e di stare al passo con i principali paesi europei, andando a modernizzare l’Italia rispetto a digitalizzazione e innovazione; alla cultura; alla rivoluzione verde e transizione ecologica; alle infrastrutture per una mobilità sostenibile; in istruzione e ricerca; rispetto ad inclusione e coesione. Alla salute. Se attuato in ogni sua parte il PNRR riscriverà ampi tratti del rapporto tra i cittadini e la Cosa Pubblica.

Attenzione: non l’abbiamo chiuso con l’attribuzione dei fondi! Dobbiamo guadagnarcelo. La sua concretizzazione dipende infatti anche da un nutrito pacchetto di riforme - ben 48 - che riguardano settori nevralgici e delicati del nostro assetto istituzionale. Penso alla giustizia, al fisco, alla concorrenza, alla pubblica amministrazione. Riforme da approvare in un anno e mezzo. Pensate che ruolo e che cambiamento è richiesto in primis al Parlamento. La sua attuazione riguarderà tutta la classe dirigente lungo la dorsale del Paese: basta riflettere sul fatto che ben 90 degli oltre 200 miliardi saranno gestiti dai comuni. Dobbiamo essere pronti. Capitalizzare l’occasione per le nostre comunità, in uno scenario generale che dovrà essere il più armonico possibile. Dobbiamo fare in modo che il Recovery Plan faccia avanzare tutte le aree del Paese, affinché diventi uno strumento di coesione, che avvicini - in particolare il Sud al Nord - e non un ulteriore elemento di disomogeneità. Dovremo essere capaci. Dovremo essere onesti. Dovremo sentire la responsabilità e l’orgoglio di quanto ci stiamo giocando. Per noi e per i nostri figli.

Chiudo sulle civiche benemerenze. Sul senso di attribuire questo premio, che abbiamo chiamato “Premio Caesius”, proprio oggi, in occasione della Festa della Repubblica.

E’ la prima edizione per Cesano. Ma sento che ne avevamo bisogno. Rappresenta un grande onore per me tributare, insieme a coloro con cui ho condiviso questo percorso, questo riconoscimento a delle persone che si sono distinte nella nostra cittadina, nel corso degli anni.

E’ innanzitutto dire a loro che ci siamo accorti, abbiamo apprezzato e riteniamo di grande valore ciò che hanno fatto per questa comunità. Spero possa essere una soddisfazione, per quanto non voluta né ricercata. Forse pure tardiva. ma c’è.

E’ anche un richiamo di quei valori sulla base dei quali la nostra Repubblica è stata fondata. Sono la linfa del nostro stare insieme. Il patto sociale non si regge solo sulle regole, ma sull’impegno, sugli sforzi, sulle intuizioni, sulle idee di chi si è dedicato agli altri, alla realizzazione di un disegno comune, a far crescere una comunità e a togliere dal mondo un po’ di sofferenza.Non sono un premio al passato, nè alla carriera. Ma sono un esempio, un modello per il futuro. Dobbiamo parlare di ciò che siamo riusciti a fare, di come siamo cresciuti insieme e di chi ci ha aiutato a farlo. Di ciò che pure sembrava arduo, ma che è stato possibile fare. Delle sfide che abbiamo vinto, per il bene di tutti.Dobbiamo sentire l’esigenza di lasciare dei modelli alle giovani generazioni. Si deve tornare a celebrare la virtù.

W la Repubblica

W il 2 giugno

W l’Italia

* credo che la foto sia del Cizanum e l'ho scaricata dal profilo Fb di Elvira Pavesi



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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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