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lunedì 23 maggio 2022 - 19:34:46

Falcone, non Capaci



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Mi sarebbe piaciuto stamattina aprire con un mio scritto, o forse meglio post, per celebrare l’anniversario – il 30°! – della Strage di Capaci. Non ce l’ho fatta per via dei miei tempi: weekend densissimo, arretrati e stamattina un’altra biciclettata con alcune classi della primaria “Alessandrini”. Potrei cavarmela dicendo che ho partecipato a una serie di appuntamenti proprio per questa ricorrenza ed è vero, grazie al ricco palinsesto degli istituti “Righi-Falcone” e “GB Vico”. 
 
Ma cavoli! Sono sindaco e da qualche mese consigliere delegato ad Ambiente e Legalità in Città Metropolitana di Milano! Devo. Certo che devo. Cesano Boscone, il Sud-Ovest. A maggior ragione. 
 
Verrebbe da dire “con piacere”, ma non sarebbe veritiero. In realtà con sofferenza. 
 
Sì, con sofferenza. Intanto, a me che (forse) sono ateo non piace celebrare i santi. I martiri tanto meno. E di certo Falcone e Borsellino (e le tante altre vittime della mafia) lo sono stati. Fu un sacrificio? Sì fu un sacrificio. Ma io non voglio ricordare il tritolo, il dolore, l’auto che salta in aria, le lacrime, gli anatemi. 
 
Peraltro, sapendo di poterne essere vittima nelle prossime righe, odio “l’alluvione di retorica” sulla mafia, come ho sentito dire qualche giorno fa da Francesca Grillo. Il tema mi è particolarmente urticante quando ho sentito dire ad Attilio Bolzoni dire che uomini delle cosche avevano riempito i muri della zona di Capaci proprio della scritta “La Mafia è una montagna di merda”. Ecco, sarebbe un torto alla memoria.

Voglio ricordare oggi solo Giovanni Falcone, separatamente dal suo amico e collega Paolo Borsellino, perché Capaci deve essere l’occasione per ripensare a lui, quell’uomo straordinario, un autentico fuoriclasse non solo della magistratura, ma dotato anche di capacità di analisi sociale e storica d’Italia senza pari. Ogni tanto leggiucchio di mafia e fortunatamente le seconde e le terze serate in TV spesso offrono materiale interessante. Riflettevo del fatto che su tante persone ho spesso cambiato opinione o ho messo in crisi il mio giudizio (politici in primis) ma che ciò che sento di Falcone a distanza di anni, qualche nuovo particolare che non conoscevo, ravviva in me l’impressione di un profilo eccezionale. A lui dobbiamo gli strumenti con cui combattiamo la mafia anche nel nostro tempo, il ruolo dei pentiti, l’attenzione al “giro dei soldi”, la nascita della DIA, il maxiprocesso di mafia, per dirne alcuni. 
 
So che l’uomo che sto celebrando ha un’immagine cristallizzata e che era solo anche perché molti, all’interno della stessa magistratura, ne soffrivano le capacità e l’ambizione, forse l’essere a volte tracimante e l’invidia che si prova verso i cavalli di razza. Non si può dimenticare, ad esempio, che addirittura gli venne contestato di essersi inventato il fallito attentato dell’Addaura. 
 
Se ne intuisce immediatamente la brillantezza, l’amabilità, una grande capacità di ascolto e in fondo l’umiltà di saper parlare con tutti, addirittura con i mafiosi. Fu colui che ha saputo descrivere il pianeta “mafia”, ricostruirne l’organizzazione e le regole, capirne il potere e le ragioni dell’affermazione, comprenderne il legame con la politica. Ha intuito le torbide trame di ciò che stava accadendo in quegli anni così tribolati, forse le connessioni anche con il quadro internazionale, di certo la crisi della Prima Repubblica. Falcone era animato da un profondo senso di Giustizia che lo spingeva a donarsi interamente per la sua causa, ad andare fino in fondo. 
 
Nelle parole della dottoressa Alessandra Cerreti della DDA ho ritrovato lo standing dell’uomo: “Collaborava con l’FBI alla pari, anzi spesso era lui a guidare il lavoro insieme. L’unica differenza è che l’FBI aveva strutture e mezzi incredibili, tanti uomini. Falcone era da solo con pochi altri e tanti che gli remavano contro. Ma visto dall’altra parte, nessuno avrebbe avuto il coraggio di sospettarlo”. 
 
Mi provoca sofferenza scrivere di Giovanni Falcone a 30 anni dalla sua morte perché sento un peso, una specie di peccato originale da espiare. Al di là di cosa dicono e diranno i dispositivi delle sentenze è ormai accertato che una Trattativa – o forse meglio, tante Trattative come dice Piero Melati – tra Stato e Mafia c’è stata. E ho fatto mia l’iperbole che sostiene: “occhio a parlare di Stato deviato, perché il rischio è che lo Stato deviato fossero Falcone, Borsellino e gli altri che facevano il loro dovere”. Non ho certezze chiaramente e sono pronto a ripetere fino alla morte che credo nello Stato perché lo Stato siamo noi, dobbiamo essere noi. 
 
Nessuna sfiducia in tal senso e anzi voglio costruire la speranza. 
 
Ma penso che non si possa evocare il ricordo, chiedere verità, incoraggiare la lotta alle mafie e lodare i grandi risultati ottenuti in questo campo - che ci sono e sono tanti! – senza far riferimento a quelle ambiguità, a quelle trame, a quei depistaggi noti e stranoti, ad un ruolo (o diversi ruoli) che comunque è stato giocato: perché? 
 
E soprattutto dobbiamo farlo noi, che dello Stato siamo rappresentanti a qualsiasi livello, che abbiamo cariche istituzionali. Se non affrontiamo queste scomode verità, oltre ad interrogarci sull’adeguatezza del nostro impegno contro le mafie, non siamo credibili. Per questo sento un peso: non si può onorare la memoria di Giovanni Falcone, esaltarne l’impegno e lo straordinario contributo senza toccare gli interrogativi più inquietanti sulla sua morte. 
 
Forse 30 anni non sono ancora abbastanza. Ma un giorno, ne sono certo, ci arriveremo a sapere per filo e per segno cosa è successo e perché è avvenuto. L’unica cosa importante è che quel momento non sia letto come una fredda pagina di una storia remota ma che si dedichi a quest’uomo mirabile almeno un pensiero.
 
(foto di Gabriella Gersi, da Facebook)



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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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