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mercoledì 03 giugno 2015 - 16:05:48

La necessità di segnali chiari per la Città Metropolitana



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contributo scritto per la newsletter di Sinistradem - Milano
 
Nel corso degli ultimi mesi è stato fervido e stimolante il dibattito rispetto ai potenziali sviluppi dell’istituenda Città Metropolitana. Il Partito Democratico è stata la forza politica che più si è spesa nell’opera di costruzione ed elaborazione relativamente alla nuova istituzione e lo stretto legame con l’amministrazione di Milano ne caratterizza in maniera decisa l’evoluzione.

I progetti e le aspettative associati al nuovo assetto organizzativo si trovano però a fare i conti con la realtà della pesante transizione ancora in corso, che è partita dalle rovine della provincia ed ha fatto i conti con diversi fattori, tra cui occorre ricordare anche un pesante vuoto di leadership che si è sostanziato con l’intermittente sostegno del Sindaco Pisapia al progetto della Città Metropolitana e si intreccia in questa fase con le scelte relative alle prossime amministrative milanesi.

La Conferenza dei Sindaci del 25 maggio 2015, riconvocata perché nella precedente seduta non era stato raggiunto il numero legale (!), ha fotografato un bilancio in comprovato affanno: risultato economico negativo di -18.163.357 €, sforamento del patto di stabilità per 60.020.000 € a fronte di entrate in forte contrazione e fortemente condizionate - udite bene - dalle oscillazioni dell’RC auto.

Appare evidente in queste condizioni la divaricazione dello iato tra quanto prospettato, soprattutto rispetto alle auspicate nuove mansioni della Città metropolitana in termini di pianificazione e sviluppo, e quanto realizzabile alla luce dei numeri sopra esposti. E’ impietoso ma realistico constatare che in queste condizioni è messo a repentaglio anche l’assolvimento delle funzioni fondamentali già attribuite alle province.

Fin da queste fasi preliminari sta emergendo in modo dirompente un nodo non risolto rispetto a ciò che intendiamo per Città Metropolitana: si tratta di uno strumento di accorpamento tra enti locali volto al perseguimento di obiettivi di riduzione della spesa in relazione al delicato momento di crisi oppure è un fattore che mira allo sviluppo dei territori e al miglioramento dei servizi per i cittadini? La domanda è meno retorica di ciò che si pensa. 

Pur senza voler essere manichei, è dirimente in questo momento affrontare questo tema. E’ necessario in particolare che il Governo decida qual è il ruolo che le Città Metropolitane - su tutte quella di Milano - devono giocare oggi. Pare appropriato richiamare come l’avvento di questo nuovo ente si sia verificato nel pieno disinteresse da parte dei cittadini sullo sfondo di un’istituzione, la provincia, bersaglio per mesi della propaganda relativa ai costi della politica. Impossibile, nel quadro dato, far cogliere all’opinione pubblica quali siano le potenzialità inespresse del nuovo assetto istituzionale: il rischio è di scivolare lentamente verso l’elezione diretta del consiglio metropolitano senza che la Città Metropolitana sia assurta agli onori della cronaca almeno per un’innovazione percepibile agli occhi dei suoi elettori.

Ritengo che questa partita strategica si giochi sul terreno del trasporto pubblico locale. Dobbiamo esercitare pressione affinché, attraverso un impegno diretto del Governo, la Città Metropolitana possa disporre fin dai prossimi mesi delle risorse necessarie per interventi tangibili, imboccando con convinzione il percorso che porta all’istituzione del biglietto unico, in grado di uniformare i costi per l’utenza e di semplificare l’intermodalità attraverso una spinta integrazione delle tariffe. Sull’impalcatura complessiva possiamo concederci più tempo e qualche approfondimento in più, ma sono indispensabili segnali chiari volti a far percepire anche ai cittadini più disattenti quanto la Città Metropolitana possa incidere positivamente sulle proprie esigenze e sul loro benessere.

Forse, il tardivo approdo alla Città Metropolitana è più frutto di un obbligo che di una scelta. I nostri territori sono profondamente segnati dall’esplosione abitativa degli anni ‘60-‘70 che ha visto i nostri comuni crescere in maniera caotica e disordinata, in una prospettiva avulsa e atomizzata dettata dalla frammentazione decisionale. Assistiamo così a confini incerti di realtà assolutamente conurbate: nella “mia” Cesano Boscone vi sono cucine e salotti relativi ad appartamenti che hanno camere da letto e bagni a Corsico e condivide macrabamente con Milano alcuni colombari del vecchio cimitero comunale. 

La crisi, inoltre, sta profondamente cambiando la faccia di questi territori. E’ mutato lo stretto rapporto tra lavoro ed abitare: nella nostra provincia i grandi centri sono spesso fioriti in prossimità degli insediamenti produttivi. In molti casi tale rapporto è venuto meno, tant’è che comuni densamente abitati si trovano orfani delle passate possibilità d’impiego e con la pesante eredità di siti ex-industriali (o più recentemente, ex-commerciali) da riconvertire. La possibilità di rilancio di questi territori passa dalla necessità che tali aree tornino ad essere interessanti per cospicui investimenti grazie ad una pianificazione infrastrutturale e strategica, in grado di collocare la rilevanza del sito in oggetto su scala metropolitana.

Parimenti dirimente è la definizione delle “zone omogenee” in cui verrà suddiviso il territorio. Oltre a comprendere quali debbano essere le logiche delle associazioni e degli accorpamenti, vale la pena soffermarsi sul tema della definizione della “scala adeguata”. Carlo Cattaneo nel confrontare l’efficienza funzionale dei comuni lombardi rispetto a quelli siciliani, notava come la maggior parte dei primi non superasse le 1000 anime mentre rilevava che sull’isola era presente un minor numero di municipi, caratterizzati però da maggiori dimensioni, mostrando cioè una media di abitanti di 6.681 unità, ben 18 volte superiori a quanto osservato in Lombardia (358 individui per comune). Cattaneo argomentava che la stupefacente presenza di infrastrutture e servizi civili osservati nella sua regione fosse strettamente legata alla capillare nervatura comunale. I tempi sono di certo cambiati (basti pensare a trasporti, telefonia e internet), ma tale suggestione continua ad essere affascinante: è opinione diffusa che nei comuni della prima fascia dell’hinterland si viva meglio rispetto alle periferie di Milano. Il tema aperto è quindi come garantire che la capillarità, l’autonomia e il presidio costante vantati da queste realtà non si disperdano con gli avanzamenti della Città Metropolitana.

Infine uno spunto, quasi una boutade. Chi amministra tocca con mano quanto, soprattutto in un periodo di grandi ristrettezze economiche come il presente, le disparità esistenti tra comuni spesso distanti pochi metri, si traducano in vere disuguaglianze tra cittadini. Il fatto di risiedere in paesi caratterizzati da redditi medio-alti, con rilevante presenza di aziende se rapportato al numero di abitanti, la mancanza di fenomeni di ghettizzazione delle fragilità sociali e la disponibilità di ampie porzioni di territorio su cui costruire, instaura una serie di apparenti privilegi per i cittadini interessati che vanno dalla possibilità di disporre di servizi migliori e più numerosi alla meno pressante imposizione fiscale locale. Alla luce di quanto espresso, potrebbe essere interessante in prospettiva ragionare sullo spostamento di buona parte delle leve fiscali e degli oneri di urbanizzazione sulla Città Metropolitana, al fine di garantire attraverso meccanismi redistributivi maggiore equità tra diversi comuni e per disincentivare l’ormai difficilmente tollerabile fenomeno del consumo di suolo.



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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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