lunedì 25 aprile 2022 - 09:43:52
Discorso del 25 aprile 2022
Care Cittadine, Cari Cittadini, benvenuti alle celebrazioni di questo 25 aprile così significativo. Un caro saluto all’Anpi, qui rappresentato dal presidente della nostra sezione Giovanni Bertolini, Leonardo Borrelli, agli agenti dall’Arma dei Carabinieri, ai rappresentanti delle forze politiche intervenute.
Credo sia inevitabile affrontare insieme la grande questione della guerra in Ucraina, ma consentitemi in primo luogo di rammendare che ricorre oggi l’anniversario della Liberazione e che dobbiamo mantenere fede prima di tutto a quell’esercizio di Memoria che questa giornata ci impone. Lo dobbiamo ai partigiani che insieme alle forze alleate e a una grande partecipazione popolare ci liberarono dall’occupazione nazifascista del Paese e dal duro ventennio della dittatura mussoliniana.
Un’Italia prostrata non solo dalla guerra ma anche dalla violenza e dalla prevaricazione del regime, dalle limitazioni delle libertà personali, dalle condizioni di povertà e malnutrizione in cui viveva gran parte delle masse popolari per effetto delle politiche messe in campo dal fascismo. L’Italia prima del secondo conflitto bellico era uno dei paesi più iniqui e corrotti d’Europa.
Il nostro primo dovere è ricordare queste semplici verità: cosa è stata la Resistenza e quale male nefasto abbia rappresentato il fascismo in questo Paese.
Dobbiamo inoltre riconoscere che dall’esperienza della lotta partigiana emerse la futura classe dirigente, quella che scrisse la Costituzione, che affermò la democrazia, che si impegnò per la ricostruzione, per i diritti di tutti e per generare benessere diffuso e che – proprio oggi dobbiamo sottolinearlo – gettò le basi per una pace duratura. Era partigiana e di parte, sì, ma riassumeva tutto l’arco delle forze antifasciste: comunisti, socialisti, cattolici, anarchici, repubblicani, liberali, azionisti. Anche questo va ribadito con forza, a beneficio soprattutto di chi della Resistenza non dà una lettura storica attinente e compiuta.
Il rispetto e la sacralità del 25 aprile ci impongono in primo questo esercizio.
E’ del tutto evidente che riflettere sul senso della libertà, della resistenza all’invasore, della nostra democrazia come argine di civiltà rispetto alla barbarie della dittatura, conduca il nostro pensiero a quanto in questi settimane sta avvenendo in Ucraina. Siamo obbligati dai nostri principi, che hanno valenza universale: dobbiamo riconoscerci nell’altrui lotta per la libertà, diversamente questa celebrazione oggi sarebbe vana.
Attenzione però all’analisi e alla lettura dei fatti!
Evitiamo fin da subito qualsiasi ardita ed artificiosa sovrapposizione. La lotta di Liberazione è storia e possiamo darne un giudizio complessivo perché ne conosciamo gli esiti. Qui ci stiamo confrontando sull’attualità, in un quadro in evoluzione le cui prospettive non sono chiare. Lì infiammava una guerra mondiale che pur con diversi scenari aveva come epicentro l’Europa e che si è conclusa. Oggi parliamo di una guerra che è confinata nella sfortunata Ucraina e di cui tutti temiamo una pericolosa escalation. Pensate a quanto incombe nelle paure dell’Occidente il ricatto nucleare che Putin sta esercitando! E a come le nostre generazioni, cresciute nel corso della più lunga epoca di pace e credendo convintamente nella necessità del disarmo, si sentano spaesate rispetto alle discussioni di questo periodo sul sostegno ai resistenti ucraini, sull’aumento delle spese militari, su un pianeta che temiamo possa incanalarsi in una spirale bellica tra nuovi suprematismi e lotta per le materie prime.
La storia ha ricominciato vorticosamente a marciare sotto i nostri piedi. Non è questo il tempo per scrivere libri ed emettere sentenze. Francamente, io nutro più dubbi che certezze sull’attuale quadro e su come lo si debba affrontare, anche dalla prospettiva italiana ed europea. Sono spaventato dal dibattito polarizzato, violento, escludente. Perfino banalizzato. Non me la sento di distribuire scomuniche per le diverse posizioni in campo.
Diversamente da quanto è stato ripetuto come un mantra negli ultimi anni, forse – forse – la soluzione arriverà dal compromesso, dal cosiddetto inciucio, dalle scelte che, se non correttamente lette, vengono marchiate con l’ipocrisia.
Ho capito poche cose.
La prima è che il dittatore di una superpotenza (militare) ha deciso di invadere un paese libero e impegnato in un cammino tortuoso ma reale verso la democrazia. A questo proposito, smettiamola per favore di usare il termine “democratura”: mi pare alleggerisca la ferocia e l’illiberalità del regime di Putin, che è padrone assoluto della Russia insieme alla mafia che con lui comanda dal 2000, guarda a caso proprio dall’inizio di questo indecifrabile 21esimo secolo. Stiamo toccando con mano, oltre ad assistere a un’invasione militare che condanniamo, l’efferatezza e la brutalità dell’esercito russo e dei mercenari ceceni sulle popolazioni civili.
Proprio in questi giorni abbiamo avuto l’onore di avere con noi una consigliera comunale della povera Bucha, Iryna Yarmolenko, che ci ha testimoniato non solo il livello di devastazione della sua città ma le stragi, gli omicidi, gli stupri, le torture cui gli abitanti di quel povero centro sono stati sottoposti. Altro che i manichini vestiti nei video preparati dalla propaganda russa che qualche fesso – cui pure il diploma di quinta elementare pare un dono troppo generoso – continua a condividere. La dimostrazione della veridicità di quei massacri, qualora ce ne fosse bisogno, è arrivata dallo stesso Putin che ha voluto personalmente premiare, “per l’eroismo e il coraggio”, la 64ma brigata accusata della strage di Bucha.
Ho capito che per fermare i massacri tra i civili, aprire un negoziato vero e costruire la pace non possiamo permettere alla Federazione Russa di avanzare fino alle porte dell’Unione Europea. Tale scenario sarebbe premonitore di ulteriori sciagure per tutto il nostro continente e per i futuri equilibri mondiali. Rischierebbe infatti di essere solo un preambolo all’invasione di altri stati, come le repubbliche baltiche e i paesi ex-satelliti dell’Unione Sovietica.
Sono ahimé falliti miseramente i primi tentativi di cessate il fuoco ed è ormai tardi, purtroppo, per tornare sul tema della neutralità di questo stato di cerniera, come testimoniato dalla volontà recente di paesi storicamente neutrali di aderire alla NATO.
In questo quadro così complicato e dopo due mesi di guerra, le perdite per la Federazione Russa sono state ingenti: 21.800 uomini, 873 carri armati, 2238 mezzi corazzati, 408 sistemi d'artiglieria, 147 lanciarazzi multipli, 69 sistemi di difesa antiaerea. Stando a fonti di Kiev, che specifica che i dati sono in aggiornamento a causa degli intensi combattimenti, le forze russe avrebbero perso anche 179 aerei, 154 elicotteri, 1557 autoveicoli, 8 unità navali, 76 cisterne di carburante e 191 droni. E’ evidente che questo rallentamento delle operazioni militari ed i duri colpi inferti siano dovuti all’incessante azione dei combattenti ucraini, anche grazie agli armamenti e al sostegno loro forniti dall’Occidente.
Come credo molti di voi ho riflettuto molto su questa scelta che sento ancora come molto sofferta: credetemi, non sono animato da un pacifismo di facciata e ho sempre fermamente condannato la via delle armi. Alla stregua dei fatti, però, non vedo altre strade possibili per fermare l’assalto dell’orso russo e mi convincono molto le parole di questi giorni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci ha ammonito rispetto al fatto che nella lotta di Liberazione la Pace fu conquistata con le armi e che “dal 'nostro' 25 aprile […] viene un appello alla pace. Alla pace non ad arrendersi di fronte alla prepotenza".
Attenzione però. Esiste una differenza sostanziale tra sostenere la lotta dei resistenti ucraini e lo schierarsi in pieno campo contro l’oppressore. L’Italia e l’Europa non sono in guerra. E dobbiamo fare in modo che non vengano direttamente coinvolte. Ciò non toglie che – come si sta facendo – si debba sostenere anche dal punto di vista degli armamenti la lotta del popolo ucraino. E’ questa forse-sottile distinzione che, stando alle metriche del dibattito pubblico in corso, potrebbe essere letta come una forma di ipocrisia. Ma è sostanziale nel mantenere il conflitto confinato e non scatenare la tanto temuta escalation.
In questi termini, ho capito che è l’Europa a dover giocare la partita più complessa. Pur nella difficoltà di esprimersi con una voca unica, a causa del diverso grado di coinvolgimento e dei diversi interessi dei principali Paesi, l’Unione – e con essa le forze politiche che realmente la sostengono – non deve scadere sulle nette posizioni assunte dagli Stati Uniti, ma deve comunque salvaguardare il sottile filo tessuto dalle diplomazie, da toni meno aggressivi, alimentando un dialogo con la Federazione Russa ed insistendo fin da oggi nel ritagliarsi uno spazio all’auspicato tavolo delle trattative per la Pace.
Pur avendo negli USA i nostri principali alleati, stiamo comprendendo che non sarà il Patto Atlantico come l’abbiamo conosciuto negli anni della guerra fredda la strada che consentirà all’Europa né la pace né la possibilità di avere un ruolo strategico nel mondo diviso tra nuovi blocchi che si comincia ad intravedere.
Non dimentico che a pagare le conseguenze della guerra è sempre e principalmente la povera gente. I caduti, chi si trova obbligato a combattere nel conflitto, chi patisce lutti, privazioni, paure e fame, chi fugge in un paese straniero. Permettetemi a questo proposito di ricordare che, anche a fronte di questo conflitto – dopo Siria e Afghanistan in particolare – la comunità di Cesano Boscone ha fatto la sua parte nell’accoglienza. L’amministrazione attraverso il piano di zona di cui siamo capofila, ha lanciato in accordo con la Prefettura di Milano un CAS, Centro di Accoglienza Straordinaria, mettendo a disposizione dei profughi ucraini 9 appartamenti nei nostri comuni. Allo stesso tempo ha permesso a realtà già presenti nel territorio, quali la Chiesa Valdese, di estendere un progetto già attivo, accogliendo negli ultimi giorni 3 famiglie con bambini. Sappiamo inoltre, pur non potendo contare su cifre precise, che sono circa una ventina i profughi ucraini ospitati da famiglie cesanesi. Ci tengo a ringraziare loro e quella larga parte della nostra cittadinanza che ha contribuito alla massiccia raccolta di generi di prima necessità da inviare in aiuto alla popolazione colpita dal conflitto. Ancora una volta, anche dopo la dura prova della pandemia, la nostra comunità ha dimostrato di essere solidale e di credere nel valore della pacifica convivenza tra i popoli e di mutuo soccorso.
In conclusione, lasciatemi dedicare un pensiero all’ANPI. Credo che l’associazione debba far tesoro delle tante e spesso strumentali polemiche dei giorni scorsi. Proprio perché è difficile esprimere giudizi compiuti su fatti rispetto a cui gli storici avranno bisogno di anni per una serena ed approfondita analisi, chi rappresenta l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ai massimi livelli – a maggior ragione - deve sentire il peso e la responsabilità di qualsiasi parola. Non intendo con questo che l’ANPI debba essere ridotta al silenzio sulla stringente attualità e su un mondo che cambia, ma ritengo che debba essere messa al riparo rispetto ai rischi di una esposizione avventurosa, di collegamenti arditi, di conclusioni avventate.
A maggior ragione dopo la scomparsa di chi ha combattuto la guerra di Liberazione, l’ANPI è depositaria di un compito tanto alto e tanto arduo: mantenere viva la fiammella della Memoria e difendere la Costituzione da chiunque la voglia insidiare. In un mondo che vive di solo presente, l’impegno è gravoso! Noi tutti che facciamo parte del fronte antifascista abbiamo il compito di tutelare l’associazione, far sì che la sua voce sia sempre autorevole e ascoltata. E sostenere questo patrimonio di valori ed idee, anche attraverso la dovuta iscrizione.
Proprio il 25 aprile va ringraziata l’ANPI per essersi sempre battuta per difendere il messaggio della Resistenza, della Costituzione e dell’antifascismo; per aver rappresentato, anche nei periodi più bui, un luogo aperto, di confronto; per l’incessante attività di studio e di ricerca storica, orientata alla verità e all’approfondimento.
Tenere all’ANPI è tenere al 25 aprile!
W il 25 aprile
W l’Italia
W l’Europa
W la Pace
Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici -