giovedì 02 giugno 2022 - 13:12:42
Discorso 2 giugno 2022
Festa della Repubblica
Care Cittadine, Cari Cittadini, benvenuti a queste celebrazioni in cui festeggiamo la Repubblica, mirabile traguardo per la nostra Nazione. Rivolgo a voi un caloroso saluto, unitamente alle autorità civili, militari e religiose presenti. Ai nostri benemeriti e alle loro famiglie.
Il 2 giugno 1946, il referendum sulla forma istituzionale dello Stato bocciò la Monarchia, collusa con il fascismo e colpevole di aver portato l’Italia nelle due guerre mondiali, e premiò la Repubblica. Non fu una vittoria piena nei numeri perché diverse aree del Paese votarono comunque per la conservazione. Ma fu un’affermazione vera e quella scelta degli elettori consapevole e lungimirante: sotto questo aspetto possiamo dire di essere una democrazia compiuta e anche i più recenti sondaggi indicano chiaramente che gli italiani non hanno alcuna nostalgia del re.
Attraverso l’affermazione dei diritti, delle libertà e della pace la parola Repubblica recuperò il suo alto valore originario, dopo la torsione del concetto che il nazifascismo impose con la sciagurata tragedia della Repubblica di Salò, stato fantoccio al servizio dell’occupante tedesco.
Quando ormai 4 anni fa, il 2 giugno 2018, inaugurammo i “Giardini della Costituzione”, il prof. Carlo Smuraglia scomparso proprio in questi giorni e cui rivolgo un ringraziamento commosso, vide i cartelli riportanti l’articolo 3 ed apprezzò la nostra attenzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
La Repubblica non è solo un assetto istituzionale ma è tale se pone al centro il tema dell’Eguaglianza e si prefigge l’affermazione della Giustizia sociale. E’ anche riflettere sull’ “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori”, con una concezione ampia di lavoro, inteso dall’art.4 come “un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
L’articolo 3 non rappresenta un progetto di un mondo utopico ma va anche inteso come un monito su come vi siano – continuamente - ostacoli da rimuovere per consentire la piena affermazione della persona umana attraverso la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. E con essa, della Repubblica.
Molto ruota intorno al lavoro e credo meriti una riflessione. E’ assolutamente vero che pur a fronte di una modesta ma sensibile ripresa economica, soprattutto nella nostra area, vi sia un mercato del lavoro piuttosto vivace. Sempre più però si fa fatica a far combaciare domanda ed offerta. Si stima ad esempio che per portare a compimento il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano entro il 2026 servano 1,7 milioni di nuovi posti – di cui 770.000 nella pubblica amministrazione – ma al contempo si teme che il 40% di questi possa restare vacante. Le cause sono complesse e vanno analizzate minuziosamente, evitando di ricorrere alle banalizzazioni. Non è accettabile, ad esempio, ridurre la scarsa appetibilità di alcune occupazioni precarie e stagionali al reddito di cittadinanza. Si tratta di una misura che ha rilevanti problematiche – lo so in primo luogo da sindaco – ma che non basta a spiegare l’inattività che ha colpito una fetta consistente addirittura della popolazione giovanile. Ci sono sicuramente effetti vistosi della pandemia, c’è un problema più vasto di cultura del lavoro, c’è la piaga del nero, c’è sicuramente un sistema formativo e di orientamento che mostra falle. Sta emergendo sempre con più forza la questione demografica, per quanto si faccia sempre fatica a riconoscerla come vero problema del Paese: negli ultimi 10 anni abbiamo 1 milione di studenti in meno e nei prossimi 10 anni ne perderemo ancora 1,4 milioni. Su 7,5 milioni di studenti totali. Sono dati sconvolgenti.
Torniamo al legame tra la Repubblica ed il Lavoro come “attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”: pensate alle carenze degli organici del settore sanitario – medici e infermieri su tutti – alla mancanza di insegnanti, di assistenti sociali, di educatrici degli asili nido.
Dietro a queste crisi silenti si vede il rischio di meno servizi, di uno Stato più debole e che sfiducia i cittadini. E ancora: non può esserci il “pieno sviluppo della persona” se anche lavorando si vive nella povertà, se non si riesce a sopravvivere al proprio affitto, in una condizione di continua precarietà, di diritti negati, di impossibilità, soprattutto per le donne, di coniugare la vita lavorativa con quella personale e familiare. Parliamo di numeri. Cosa ci dice della salute della nostra democrazia l’evidenza che siamo l’unico – l’unico! – paese europeo in cui negli ultimi 30 anni gli stipendi sono diminuiti. Abbiamo registrato una riduzione netta del 2,9%. Evidentemente il problema non sono solo l’inflazione di queste settimane, la grave crisi internazionale e la tremenda guerra in Ucraina, il costo dell’energia. Questo dato con il meno davanti è il simbolo di un fallimento della classe dirigente italiana degli ultimi 30 anni. A maggior ragione perché siamo molto distanti dai nostri principali vicini: si ripete spesso che la nostra economia è legata a doppio mandato con quella tedesca. Perché allora gli stipendi in Germania, già più sostanziosi dei nostri, nello stesso lasso di tempo sono aumentati del 33.7%?
Se lo stato diventa più debole, si riduce il livello e l’efficacia dei servizi, l’istruzione perde il suo ruolo, si bloccano le opportunità. Parallelamente esplodono le contraddizioni, le disuguaglianze sociali e si allarga il fossato tra i cittadini e le istituzioni. E la repubblica gradualmente degrada verso forme di oclocrazia, come ammoniva Polibio. La nostra Costituzione ci mette in guardia rispetto a ciò, ai delicati equilibri che concorrono alla salute democratica, a quanto conta il termometro sociale.
Permettetemi in questo 2 giugno, a 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, di onorare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: quanto quelle vicende pesano sulla storia della nostra Repubblica? Quanto siamo costretti ancora oggi a chiedere verità sulle oscure trame di quella fase storica? Perché sappiamo ancora così poco sul ruolo che ebbe una parte rilevante dello Stato? Non sono dei santi laici, ma degli eroi civili. Non commemoriamo solo le stragi, il sangue, il dolore e il sacrificio loro e di uomini e donne che con loro perirono, ma ricordiamoci di due straordinari servitori dello stato, del loro operato, del loro incredibile Testamento. Quello che non abbiamo fisicamente, l’Agenda Rossa, e che dobbiamo continuare a cercare perché - quello sì - è il simbolo dell’Italia giusta e che vuole verità. Ed è loro testamento molto di ciò che, nonostante quelle tragedie, ha fatto progredire il Paese. Le loro intuizioni sono diventate leggi, strategie ed organizzazioni che in questi anni ci hanno permesso di assestare colpi durissimi alle mafie. Il loro esempio ha fatto sbocciare, in particolare presso le giovani generazioni, una cultura della legalità, una conoscenza del fenomeno mafioso e un profondo senso di indignazione che complessivamente rendono la società più giusta, la democrazia più esigente e le Istituzioni più salde. A questo proposito ci tengo a ringraziare il lavoro straordinario delle scuole del territorio, gli istituti Falcone-Righi e Vico su tutti, che anche con modalità didattiche innovative riescono a sensibilizzare ed alimentare il sentimento di legalità presso migliaia di studenti dei nostri comuni.
Chiudo con un plauso ai benemeriti che andremo a premiare oggi. Credo molto nell’aver accostato la Festa della Repubblica con questo premio, anche se di natura locale. Ancora mi viene in aiuto la Costituzione, l’articolo 3 in particolare: “la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Stiamo cioè riconoscendo il valore di quelle persone che pensiamo abbiano dato un contributo rilevante al progresso della nostra comunità.
Il Premio Caesius non va alle persone più famose, ma a quelle che, pur per motivi diversi, hanno lasciato un segno. E’ la rappresentazione di una grande ricchezza che abbiamo. Di saperi, di cultura, di valori, di legami, di solidarietà. Di amore talvolta. Dobbiamo celebrarla. E ha ancora più valore oggi, dopo questa terribile pandemia che ci ha rinchiuso, spesso su noi stessi. Riscopriamo l’ambizione di essere parte viva della comunità, di quella dimensione di relazioni che si trova al di fuori dalle porte di casa, il senso dell’impegno per gli altri, sopratutto i più fragili, di generare con il proprio lavoro frutti che possano andare a beneficio di tutti.
Riscopriamo l’intimo fascino della Partecipazione!
W la Repubblica!
W il 2 giugno!
W l’Italia!
Inserito da Simone Negri in Programma - Lascia un commento prima dei tuoi amici -