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domenica 03 novembre 2019 - 09:26:42

Discorso 4 novembre 2019



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Un caloroso benvenuto alle autorità civili, militari e religiose. Grazie a Voi cittadini che nonostante il maltempo avete voluto partecipare a questo importante momento istituzionale. E un ringraziamento di cuore all’associazione dei Combattenti e Reduci di Cesano Boscone che con attenzione e saggezza ci richiama al senso di questa commemorazione.

Come spesso capita negli ultimi anni, la Festa Nazionale del 4 novembre viene festeggiata in giorni diversi, in corrispondenza della domenica più vicina. Ci troviamo così il 3 novembre che è comunque una data importante: è infatti la ricorrenza della firma dell’armistizio di Villa Giusti, entrato in vigore solo il giorno dopo.

In prossimità di questa celebrazione ogni anno mi domando quali siano i motivi, al di là della retorica, che ci portano a officiarla. In questi termini, diverse amministrazioni comunali, hanno da tempo optato per una rispolverata delle bandiere e qualche manifesto commemorativo.

Invece io ci tengo a ricordarla. E credo abbia valore per diverse ragioni.

Prima di tutto è una ricorrenza istituzionale che mette al centro anche solo per un giorno la raggiunta unità nazionale, per molti in quell’epoca vista come il compimento del processo iniziato con il Risorgimento. Unità mai sostanzialmente realizzata e messa continuamente in crisi dalle disuguaglianze territoriali e da venti autonomisti, che continuano a soffiare spesso a dispetto - dobbiamo essere onesti - di ampie condizioni di privilegio concesse dallo Stato Italiano. Su questo, ad esempio, ci tengo a censurare le recenti provocazioni del consiglio provinciale di Bolzano rispetto all’abolizione, anche se solo in un testo di legge, della dizione “Alto Adige”, perché inviso alla popolazione di madrelingua tedesca.

Il 4 novembre è inoltre la giornata in cui tributare la nostra riconoscenza alle Forze Armate, impegnate sul suolo nazionale e all’estero in difesa della Pace, dell’ordine pubblico e della sicurezza, a protezione dei più deboli. Tutto in rigorosa osservanza ai dettami dell’art. 11 della Costituzione che ci ricorda che “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. [...]”.

Il 4 novembre fu un giorno di pace, per la fine del conflitto con l’Impero Austro-Ungarico. Sappiamo quanto fu effimera e cosa produssero i successivi trattati di Versailles - siglati il 28 giugno 1918 - ma mi piace pensare al sollievo di un popolo straziato dalla guerra, alla speranza (purtroppo in molti casi rivelatasi un’illusione) di un ritorno. Ritorno alle occupazioni abituali, alla difficile vita campi, dura sì, ma avere in mano una zappa o un rastrello sarà sempre meno alienante di imbracciare un fucile. E ritorno al tepore di un camino familiare, dopo il freddo, anche umano, patito in trincea.

Non possiamo ignorare il 4 novembre per il rispetto che dobbiamo ai tanti caduti e al dolore di tante famiglie: 10 milioni di morti, su un totale di 74 milioni di soldati ingaggiati. Ufficialmente la prima guerra mondiale consegnò all’Italia un testamento di 650.000 deceduti, 470.000 invalidi e mutilati e sono stati stimati 40.000 casi di gravi patologie psichiche causate dalla drammatica esperienza del fronte. 

Benché il più tremendo, quello umano non fu l’unico costo del conflitto.

Credo serva uno sforzo oggi per rendere maggiormente edotta l’opinione pubblica del peso che il malaffare ebbe pure in un frangente così drammatico della storia nazionale: la commissione di inchiesta sulle spese di guerra, fortemente voluta da Giolitti, evidenziò che “non ci fu un settore delle commesse che non fosse stato coinvolto dalla corruzione”. La guerra, cioè, fu anche una grandiosa truffa ai danni dello Stato: materiali pagati e mai consegnati, materiali pagati due volte e soprattutto forniture di pessima qualità (in alcuni settori costate il 400% del loro valore) che incisero ulteriormente sulla vita dei tanti poveri cristi mandati al fronte. Dai muli e cavalli comprati nonostante la veneranda età e morti prima della consegna, a divise presunte impermeabili che avide d’acqua ghiacciavano durante l’inverno in trincea. Per non parlare delle scarpe, dalla durata addirittura di 4 giorni. Rispetto a quegli scandali non ci fu mai giustizia e neanche, forse, l’adeguata indignazione: appena salito al potere, il neo-Presidente del Consiglio, Benito Mussolini, neutralizzò la commissione, impedendo al Parlamento di conoscere i risultati conclusivi del suo lavoro ed occultando i fatti più compromettenti a carico di persone vicine e grandi industriali che avevano sostenuto gli interventisti per trarre dalla guerra profitti tanto enormi quanto ingiustificati. 

Credo si tratti di ingiustizie poco note che ancora gridano vendetta, proprio perché scomode e volutamente dimenticate.

Ha senso celebrare il 4 novembre perché ci racconta di un mondo di potenze in crescita, che imboccata la strada dei rispettivi nazionalismi, si sono trovate quasi naturalmente a doversi confrontare per la definizione di un nuovo ordine mondiale. E il mezzo è stata la guerra.

Rispetto ad allora, non sono europee le massime potenze mondiali - anzi gli Stati Europei hanno malamente unito le proprie debolezze - ma come allora il grado di influenza in Europa è uno dei motivi che crea disequilibrio tra le grandi nazioni. Se siamo un minimo attenti e riusciamo a levare lo sguardo al di là dei nostri confini, è probabile che alcune partite che si giocano vicino a noi, come pure le guerre combattute a livello commerciale, vedono l’Europa come terreno di scontro, essendo un insieme di Stati decadenti dal punto di vista del peso politico, ma ancora molto rilevanti sotto il profilo economico. Che via sia il rischio di un inedito colonialismo, rivolto dai nuovi protagonisti dello scacchiere mondiale agli stati europei?

Se non c’è consapevolezza di dove sta andando il mondo, voglio sperare però che si sia meno ingenui nei confronti dell’orrore che rappresenta una guerra. Il 4 novembre, infatti, ci ammonisce a non cedere all’insensata retorica bellica e a scongiurare ora e per sempre quella “voglia di guerra” che aveva inebriato anche tanti pensatori di quegli anni. Nel 1914 Giovanni Papini scriveva un emblematico articolo dal nome “amiamo la guerra”:

“Finalmente stiamo pagando la decima delle anime per la ripulitura della terra! Ci voleva alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. E’ finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. [...]Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa… Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura.”

Molti tra coloro che al fronte assaporarono realmente la guerra ed ebbero modo di raccontarla, la descrissero con parole diverse:


“Dovunque è fango, immondizie, mucchi di vestiti, indumenti di morti, gavette, residui di cibo, sterco. Morti nostri e loro di cui sale il lezzo fin qui […] Sul tavolato delle trincee ci sono ancora brandelli di carne e grumi di sangue fin dal giorno in cui le bombe schizzarono via i poveri soldati. Nessuno prende i corpi. Si spara anche ai portantini che provano a dar sepoltura alle salme”.

Nonostante le tante crisi e le minacce che incombono sul mondo, sappiamo di un senso comune che si ritrova nelle parole del soldato e che aborre le parole del Papini. E questa non è consolazione da poco. 

Nella giovane Italia, unita da poco più di 50 anni, che si affrettava a passo spedito verso l’abisso, l’opinione pubblica mutò rapidamente parere sull’entrata in guerra, nel giro di qualche settimana, bombardata da una massiccia campagna di propaganda, intestata sì a politici e pensatori, ma finanziata da molti dei gruppi economici che poi con la guerra fecero lauti e meschini affari. 

Dobbiamo lavorare affinché la cultura della Pace che noi abbiamo in compito di diffondere e consolidare, sia così robusta da non cedere mai più ai richiami di qualsivoglia guerra. La stretta che prende al cuore nel vedere le devastazioni delle città e le atroci sofferenze di civili inermi - dei bambini - dev’essere parte integrante di quella memoria umana ed immunitaria che ci porterà sempre a maledire la suggestione di nuovi conflitti.

Vi ringrazio

Buon 4 novembre!
W l’Italia!




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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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