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martedì 02 giugno 2020 - 09:17:20

Discorso del 2 giugno 2020



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Un caloroso benvenuto a tutti i cittadini intervenuti e alle Autorità Civili e Militari che con noi vogliono onorare questa data così importante per il nostro Paese.

Un grazie alla nostra Protezione Civile, anche oggi presente e cui va la mia riconoscenza per il lavoro immane svolto durante le fasi più acute della pandemia. Vi chiedo di rivolgere loro un grande applauso!

Saluto, prima di tutto, il ritorno pubblico delle nostre celebrazioni istituzionali, dopo un 25 aprile costretti tra le mura di casa, nel pieno dell’emergenza legata al Coronavirus. Oggi, torniamo a festeggiare insieme uno dei momenti chiave della nostra storia. Lo facciamo necessariamente a ranghi ridotti, con i rigidi protocolli di sicurezza indispensabili per non propagare il contagio e con il dolore nel cuore delle morti e della sofferenza che questa epidemia ha causato (e che giustamente abbiamo ricordato con deferenza in apertura). 

Però lo facciamo. 

La sobrietà e il contegno di questa giornata sono figli della responsabilità e del rispetto che nutriamo verso la cittadinanza in un questa fase di transizione successiva al picco dell’epidemia. 

Ma allo stesso tempo siamo ancora più motivati nei Valori e nella necessità di ribadire queste convinzioni. Siamo dalla parte dell’Italia.

Il tono minore, cui siamo chiamati, nulla toglie al prestigio che dobbiamo sempre attribuire alle tappe fondamentali che ci hanno portato ad essere un Paese libero e florido.

So che diversi comuni, forse la maggior parte, hanno deciso di non festeggiare pubblicamente il 2 giugno. E’ una scelta per molti versi comprensibile e che rispetto. Ma, per via del ruolo che in questa fase della mia vita interpreto, nel momento stesso in cui vengono autorizzate, in tutta Italia, manifestazioni partitiche in evidente sfregio dell’alto momento Istituzionale che ricorre, mi sento di dover con tutta la forza riaffermare il senso profondo della Repubblica e difendere la democrazia di questo Paese.

Volutamente alcuni hanno inteso mettere la Festa della Repubblica sotto assedio. E’ un fatto di una gravità inaudita e credo che questa fase sia stata marcata da troppa accondiscendenza da parte di chi deve garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Esprimo il mio fermo disappunto perché il principio - sacro e riconosciuto dalla Costituzione - di manifestare liberamente le proprie idee ed il proprio pensiero non può essere confuso con provocazioni eversive in occasione di una delle massime ricorrenze istituzionali.

Siamo comunque chiamati ad un’analisi approfondita di quanto sta succedendo. Da tempo ormai i massimi esperti si confrontano sulla crisi delle democrazie liberali che hanno caratterizzato l’Occidente nella seconda metà del Novecento. E c’erano seri dubbi qualche mese fa su come dei sistemi repubblicani, basati sulle libertà dell’individuo, potessero affrontare la sfida del governo difficile ed inedito della pandemia, avendo questa proprio nelle restrizioni e nel distanziamento sociale i principali strumenti di confinamento. Sono riflessioni serie, che sicuramente scandiranno e si riproporranno nei prossimi anni. Chi evoca, però, anche nel contesto di sedicenti democrazie nazionali, un significativo accentramento dei poteri in un’unica persona, deve essere messo di fronte all’evidenza di come i sistemi sovranisti si siano spesso dimostrati fiacchi di fronte al virus. I tre principali modelli mondiali di questa dottrina politica, infatti, pur colpiti successivamente all’Italia e quindi con tutto il tempo per fornire risposte adeguate, si sono rivelati incapaci di contenere il contagio e sono ancora nel vivo dell’epidemia. Mi riferisco esplicitamente a Stati Uniti, Russia e Brasile.

Nonostante le “ricette miracolose” dell’amministrazione Trump, gli USA guidano per distacco la triste classifica mondiale sia in termini di contagiati che di decessi. Contano infatti la cifra monstre di 1.734.040 casi e 102.640 morti, tallonati proprio dal Brasile dove il professor Domingos Alves, docente in una facoltà di medicina all’università nello Stato di São Paulo, sostiene che il “governo brasiliano ha perso la mano nel controllo della pandemia”, dichiarazioni seguite da pesanti conferme da parte dell’OMS. Al terzo posto per casi positivi si piazza la Russia dello zar Putin che con i suoi oltre 9.000 contagiati al giorno è ancora in piena fase esponenziale. 

Tra gli elementi di crisi dei sistemi istituzionali democratici dobbiamo necessariamente annoverare, in particolare in Italia per via delle travagliate fasi storiche e della recente unificazione, il prepotente ritorno dei localismi e del loro conflittuale rapporto con lo Stato centrale. Queste scosse sono primariamente protratte dalle Regioni, sicuramente rafforzate e rese maggiormente autonome dalla riforma del titolo V che, anziché frenare le spinte centrifughe grazie al cosiddetto “regionalismo solidale”, concetto rivelatosi un ossimoro, ha generato ulteriori squilibri sociali ed economici, non ha determinato maggiore efficienza del sistema su scala nazionale (si pensi alla sanità) e ha fatto sì che l’azione del governo centrale si scontri spesso con una sorta di potere di veto delle regioni (riferimento d’obbligo alla vertenza tra il governo e la Calabria per la riapertura dei bar, risoltasi addirittura di fronte al TAR). Ciò che più sorprende in questi giorni sono le patetiche schermaglie tra regioni del sud e governatori e sindaci del nord: benché siano combattute a colpi di ombrelloni, creano un clima ostile, contrapposizioni dannose e alimentano una retorica, di natura quasi nazionalistica, votata ad identità ed orgoglio regionali. Dietro all’evocazione di improbabili “patentini di immunità” si legge la stessa volontà di chiudere le frontiere e di erigere muri della più ortodossa dottrina sovranista.
Proprio chi ha responsabilità di governo ha invece il dovere di difendere unità e coesione nazionale perché queste rappresentano la prima garanzia per avere istituzioni salde. 

“Prima l’Italia” verrebbe da esclamare.

Parlare di 2 giugno significa anche affrontare la consapevolezza di quegli italiani che senza indugi nel ‘46, di fronte a un Paese prostrato ed affranto dalla dittatura fascista e dalla guerra, scelsero la Repubblica e votarono per la composizione dell’Assemblea Costituente.

Come ricreare quella consapevolezza nelle nuove generazioni senza che queste abbiano vissuto quel periodo drammatico? Solo la scuola può farlo. Ma se siamo sinceri, non riesce a farlo.

Si punta il dito sulle tante inverosimili fake news. Ma il problema più grande sono quelli che ci credono! Sono quelli che - l’abbiamo visto in questi giorni - sono disposti ad affollare le piazze e a mettere a repentaglio la propria salute al seguito di improbabili joker colorati. Ci dobbiamo interrogare necessariamente su di loro. Sono tanti, sono arrabbiati e sono convintamente ignoranti: non solo non hanno gli strumenti per comprendere e discernere e sono vittime delle più strampalate teorie complottistiche e ascientifiche, ma ne sono anche fieri propugnatori e sono pronti all’offesa in virtù della loro inettitudine.

Siamo di fronte al ribaltamento del socratico “sapere di non sapere”. E’ l’ignoranza supponente di cui ha recentemente parlato il filosofo Vito Mancuso. E’ l’apoteosi a livello della popolazione dell’effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva che fa sì che di fronte a un qualsivoglia problema persone per nulla competenti siano estremamente fiduciose in se stesse e nella propria capacità di analisi e soluzione.

E coincide, se siamo onesti, con il fallimento del sistema dell’istruzione in Italia che si accompagna con la crisi della principale agenzia educativa statale, la Scuola.

La scuola è la grande malata di questo Paese.

Usciamo dalla retorica e riconosciamolo: abbiamo tanti problemi, sociali, economici, demografici. C’è povertà, disoccupazione, mala occupazione, disuguaglianze crescenti e la sanità in diversi contesti si sta rivelando non all’altezza. Ma convinciamoci di questo: il nostro principale problema è la scuola.

Quando la scuola fallisce nell’educazione della persona e nella crescita di cittadini consapevoli nessuno è in grado di sostituirla in questo prezioso compito e la Nazione è destinata al tracollo.

Incredibilmente il concetto della qualità dell’insegnamento non è oggi prioritario nel sistema scolastico italiano. Prevaricano l’attenzione per gli astrusi aspetti manageriali applicati alla conoscenza, la sicurezza, gli acquisti, financo la privacy; tutte le delicate questioni legate al personale docente e al suo reclutamento per garantire la copertura - almeno nominale - delle classi e di rilevanti posti di lavoro nel settore pubblico. Ci si preoccupa di come rendere più sopportabile ed agevole il percorso scolastico per studenti e famiglie. Ma su come si esce da lì, su come si possono colmare le lacune accumulate in ogni anno scolastico, sull’inattualità dei programmi, su come evitare che in cattedra finiscano degli improvvisati e come fermare almeno i docenti impreparati… no, su questo non si discute.

Mi scaldo su questo tema perché personalmente non sono sorpreso dall’epidemia di ignoranza supponente di questo periodo. E credo di essere conscio del rischio che rappresenta per tutti noi e per il nostro Paese. Per la sua crescita, quanto per la sua democrazia.

Affrontare il tema dell’educazione per salvare la Repubblica. Questo il nostro compito.

Ancora una volta mi viene in soccorso Pietro Calamandrei, eletto proprio il 2 giugno 1946 a far parte dell’Assemblea Costituente:

“Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale.”

Investiamo sulla scuola, debelliamo l’ignoranza e l’analfabetismo istituzionale. Salviamo l’Italia.

Prima l’Italia
W il 2 giugno
W la Costituzione
W la Repubblica




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Inserito da Simone Negri in Cesano - Lascia un commento prima dei tuoi amici - Stampa veloce crea pdf di questa news

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